sabato 11 gennaio 2014

Il gennaio del giardiniere





"Nemmeno gennaio è per il giardiniere un periodo di inattività - dicono i manuali di giardinaggio. Certamente no; giacche in gennaio il giardiniere soprattutto coltiva il tempo.
Infatti il tempo è qualcosa di particolare; non è mai come dovrebbe essere. Il tempo passa sempre da un eccesso all'altro. La temperatura non corrisponde mai alla temperatura media del secolo; o è cinque gradi al di sotto o è cinque gradi al di sopra. Le precipitazioni o sono dieci millimetri al di sotto della media o venti millimetri al di sopra della media; se non è troppo secco, è inevitabilmente troppo umido. (...) Se cade poca neve, borbotta giustamente che non è sufficiente; se di neve ne cade molta, esprime la seria preoccupazione che gli spezzerà le conifere e i rododendri. (...) Se in gennaio il sole osa splendere, il giardiniere si mette le mani nei capelli perché gli arbusti si affretteranno alla ripresa vegetativa." Tratto da "L'anno del giardiniere" di Karel Capek, 1929


Sta di fatto che questo inverno fino ad ora è stato docile e silenzioso, ha appena imbiancato i prati a quota 1000 e poi subito sole, pioggia e marino hanno riportato l'erba giallognola in superficie.
E così - come un rito puntuale - tutti gli anni è questo il tempo in cui la voglia di giardinare inizia a solleticare le mani e una gran voglia di fiori profumati mi ossessiona. Mettici complice il fatto che scollino, scendo in Riviera e in quaranta minuti di viaggio mi trovo un narciso fiorito tutto solo su un tappeto verde smagliante all'ombra degli ulivi. E allora l'incanto mi sorprende e mi ricorda quanto si dia per scontato il miracolo vegetale.

Chissà come vivrei in un luogo dove le piante non hanno riposo vegetativo...
Chissà se un narciso in gennaio mi farebbe lo stesso effetto folgorante, chissà se sentirei la medesima voglia di piantare e seminare che come una febbre colpisce d'improvviso con il traghettare del nuovo anno...

A me però piace l'inverno quando è lieve, quando la neve non si accanisce ripetitivamente a seppellire   il lavoro fatto in giardino durante la bella stagione. Mi piace quando in gennaio le cince si agitano a fischiettare sui rami bruni e sembrano preannunciare il Grande Ritorno.
Ma so che è illusione, so che da qui ai primi germogli passeranno mesi e il duro lavoro del coltivare il tempo si farà tedioso e nemico.




Rimane lo spazio per preparare semi, liste di piante e desideri, leggere i numerosi libri comprati nell'anno e meditare. Insomma tutto ciò che si vorrebbe fare a maggio, giugno e luglio e che non si trova il tempo di fare...

Quello che per contro amo fare in tutte le stagioni è osservare il largo orizzonte.  In quello vasto che osservo dalla Colma ritrovo il senso ultimo del paesaggio che è per me connessione silenziosa e pacifica con il Tutto, un respiro insieme alla natura, uno stato di grazia incondizionato.
Di fronte ad un cielo azzurro, che sia gennaio, maggio o settembre, il tempo perde forma liquefandosi e rimane la forza di un raggio di sole a placare le ansie del fare e del non fare.

Perché da noi, nel Sud delle Alpi, il giardino è per forza di cose quello del fare e quello del non fare.